IL “DIVIN CODINO” E… O’ REY” DI VIALE FANTI

di Stefano Borgi

Il concetto di “spareggio”, nel calcio italiano, non è mai andato granché di moda. Pensate che per aggiudicarsi lo scudetto, la coincidenza è avvenuta una sola volta, il 7 giugno 1964, quando sul neutro dell’Olimpico di Roma si affrontarono Bologna ed Inter. Vinse il Bologna per 2-0 con reti di Romano Fogli su punizione (o autorete di Facchetti che dir si voglia) e raddoppio di Harald Nielsen… su assist dello stesso Fogli. Due note a margine: pochi giorni prima l’Inter si era laureata campione d’Europa, ed ancora pochi giorni prima era scomparso il presidente rossoblù Renato Dall’Ara, al quale (successivamente) sarà intitolato lo stadio “Comunale” di Bologna. Stati d’animo, quindi, contrapposti che (per assurdo) motivarono i felsinei più dei nerazzurri. In seguito ci sono stati altri spareggi: per salire in serie A, per non retrocedere in serie B, per andare in una coppa europea. Dalle piccole o dalle grandi orecchie che fosse. E proprio da qui comincia la nostra storia, vissuta sotto il sole (battente) di Perugia, datata 30 giugno 1989. Protagoniste Fiorentina e Roma, con in palio il 7° posto che voleva dire qualificazione Uefa 1989-1990. Piccolo passo indietro: un anno prima, guarda caso, c’era stato un altro spareggio per andare in coppa Uefa, lo aveva vinto la Juventus (ai rigori) sul Torino per 4-2. Il campionato lo aveva vinto il Milan di Sacchi, secondo il Napoli di Maradona, con la Roma di Liedholm buona terza. La Fiorentina? Ottava con 28 punti che, almeno quello, aveva messo in mostra giovani promettenti come Nicola Berti, Davide Pellegrini, Roberto Onorati e Alberto Di Chiara. Più un certo Roberto Baggio che, a metà stagione, stava per essere ceduto al Pescara… in prestito. Difficile immaginare, quindi, che pochi mesi dopo le due squadre (Roma e Fiorentina) si sarebbero giocate l’ingresso in Europa, da pari a pari, in un torrido e combattutissimo spareggio. E invece…

Roberto PRUZZO (Archivio Museo Fiorentina)

 

A far la differenza una coppia che ha fatto epoca, Roberto Baggio e Stefano Borgonovo. Il primo, lo abbiamo detto, se l’era cavata per il rotto della cuffia da un prestito agli adriatici, e nei mesi a venire aveva raggiunto una maturazione tale che lo avrebbe proiettato ai vertici del calcio mondiale. Il secondo, proveniente dal Milan (chiuso dai vari Gullit, Virdis e Van Basten) cercava spazio e gloria, dal basso di un fisico compatto e normodotato, dall’alto di una tecnica sopraffina e di un ineguagliabile senso del gol. Il mix tra i due risulta esplosivo: le giocate, le invenzioni, gli assist di Roberto al servizio della furbizia, l’astuzia, l’opportunismo di Stefano, tali da catapultare la Fiorentina ai primi posti della classifica. Il segreto? Gioco spettacolare, pressing a tutto campo e tanto, tanto divertimento. Magari un pochino leggera a livello fisico, ma sempre applaudita ed apprezzata, in ogni luogo, in ogni lago. Del resto bastano due dati per spiegare il tutto: battuta per due volte l’Inter dei record (una nei preliminari di coppa Italia, l’altra alla 17esima di campionato), battuta la Juventus in casa (gol al 90′ di Borgonovo), vittorie in trasferta contro Cesena, Atalanta e Sampdoria. In totale 29 gol (la celeberrima “B2”): 15 Baggio, 14 Borgonovo, e poi l’ultimo atto in quel di Perugia che (guarda caso) rappresenterà per i viola il palcoscenico della cavalcata trionfale nella successiva coppa Uefa.

La Gazzetta dello Sport, 01/07/1989 (Archivio Museo Fiorentina)

 

Fa caldo al “Renato Curi” di Perugia quel giorno, la Fiorentina ci arriva in virtù di un grande girone d’andata, la Roma (al contrario) con una rimonta concretizzatasi solo all’ultima giornata: Fiorentina sconfitta 2-0 dall’Inter campione d’Italia, Roma che batte in casa l’Atalanta 2-1 grazie alla rete di Rudi Voeller. Perugia, diciamola tutta, è da sempre un feudo romanista, come Avellino (un anno dopo) si rivelerà un feudo bianconero. Le tribune del Curi (più o meno una capienza di 25.000 spettatori) sono divise all’80% Roma, al 20% Fiorentina. Ma non per questo il verdetto è scontato. Anche perché, in casa viola, c’è una variabile da 138 reti in 314 presenze ufficiali, uno scudetto, una finale di Coppa dei Campioni, 4 coppe Italia, 3 titoli di capocannoniere… tutti conquistati con la maglia della Roma. A parziale compensazione il gol sbagliato sotto la “Fiesole” con la maglia del Genoa (maggio ’78, decisivo per la salvezza viola) e la candidatura (estate ’81) a nuovo centravanti della Fiorentina. Eventualità poi decaduta a favore di “Ciccio” Graziani. Eppure quel giorno, stante l’assenza di Borgonovo (già rientrato alla casa madre rossonera per fine prestito) titolare col numero nove giocava “O rey di Crocefieschi”, al secolo Roberto Pruzzo. Che, per poche ore, si trasformò in “O’ rey di viale Fanti”, sede della Fiorentina dal 1931 ad oggi. Ma andiamo in cronaca: corre il 12′, break a centrocampo di Battistini, rilancio sulla sinistra per l’accorrente Di Chiara (altro ex-giallorosso), scarico su Roberto Baggio che scorge con la coda dell’occhio “O’ rey” che si era liberato in area. Cross lento ma preciso, Franco Tancredi che va a vuoto (“a farfalle” si direbbe in gergo) ed il gol è un gioco da ragazzi. Sarà l’unico in maglia viola dopo 16 misere presenze (coppa Italia compresa), sarà l’ultimo in carriera per il bomber ligure: un gol segnato proprio alla Roma, amica, madre, sorella, compagna di tutta una vita passata sui campi di calcio.

La Gazzetta dello Sport, 01/07/1989 (Archivio Museo Fiorentina)

 

Il resto lo fece il portiere Marco Landucci (autore della sua miglior partita in maglia viola), la coppia centrale Pin-Battistini, l’inesauribile Dunga (coadiuvato da Massaro), Alberto Di Chiara sempre pronto a ripartire ed a rovesciare l’azione. Alla fine possiamo dire, senza tema di smentita, che quella Fiorentina (sapientemente orchestrata dal maestro Sven Goran Eriksson) meritò appieno la qualificazione. Se non per quanto mostrato nello spareggio, quanto in tutta la stagione. Qualificazione impreziosita dal torneo Uefa di lì a venire, con il tremendo finale che tutti tristemente ricordiamo.

La Gazzetta dello Sport, 01/07/1989 (Archivio Museo Fiorentina)

 

Insegnano gli antichi che il calcio non ha memoria, che tutto si consuma velocemente, che mai come in questo sport vale il detto: “sic transit gloria mundi”…per poi disperdersi e non ritrovarsi più. Ma se la Fiorentina del “rettore di Torsby”, della B2, di Dunga, Battistini, Carobbi e Di Chiara, se partite come il 4-3 con l’Inter, la vittoria con la Juve, lo spareggio con la Roma, vengono celebrate ad ogni piè sospinto, ci sarà un motivo. Si tratta di storia, passione, senso di appartenenza… valori come la maglia, lo stemma, il gagliardetto, tutto ciò che serve per riconoscersi, e per contarsi. Perché quando parliamo di Firenze e della Fiorentina, nonostante i numerosi appelli, credeteci… non siamo, e non saremo mai abbastanza.

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