AUGURI CLAUDIO…

di Fabio Incatasciato

 

75 anni, portati benissimo per il nostro Claudio: il Secco, il numero 8, le mezz’ala per antonomasia, il cervello e la classe: tante cose tutte insieme, ma soprattutto uno dei magnifici campioni che fecero l’impresa (la più inaspettata di sempre) e uno dei centrocampisti più forti in assoluto a livello europeo tra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta.

Claudio MERLO (Archivio Museo Fiorentina)

 

Se si eccettua un breve periodo vissuto a Milano, sponda Inter e a Lecce in Serie B, Claudio ha passato a Firenze la gran parte dei suoi 75 anni: arrivò sull’Arno dalla Tevere Roma, dove si era formato, giovanissimo, a 17 anni, per andare a far parte di una nidiata di futuri grandi giocatori e campioni probabilmente irripetibile: con lui giocavano Ciccillo Esposito, Luciano Chiarugi, Mario Brugnera: e proprio questi ultimi due – il ragazzo estroso ed esplosivo di Ponsacco e il talentuoso giovane attaccante che cominciavano a chiamare il piccolo Di Stefano – affiancarono Merlo, alla fine dell’inverno 1966, entrando in squadra, divenendo titolari e dando vita ufficialmente, grazie al grande lavoro di Beppe Chiappella, alla “Fiorentina ye ye”. In quella squadra c’erano già giovani divenuti fortissimi e con diversa esperienza: Mario Bertini e Picchio De Sisti (acquistato l’estate prima da Baglini dalla Roma) e ragazzi titolarissimi provenienti direttamente dal settore giovanile viola, Ugo Ferrante e Pino Brizi. Claudio era un predestinato: in tanti lo sapevano fortissimo per la sua giovane età e con la testa sulle spalle; il 12 dicembre del 1965, contro l’Inter più forte della storia, a San Siro, esordisce in serie A, a fianco di Picchio De Sisti, contribuendo a portare a casa un pareggio incredibile per la Fiorentina.

Maglia di Claudio MERLO, stagione 1971-72 (Museo Fiorentina)

 

Quell’anno giocherà da lì in poi quasi sempre (altre 18 volte), andando a segnare una doppietta proprio a San Siro nella vittoria contro il Milan di Rivera, contribuendo alla splendida vittoria contro il Napoli di Altafini e Sivori al San Paolo per 4 a 0 e vincendo poi a giugno la Coppa Mitropa , ma soprattutto la terza Coppa Italia della storia della Fiorentina, proprio nella sua Roma (come avverrà poi nove anni dopo), contro il Catanzaro; ormai in quella squadra i gol dell’eterno e immenso Uccellino Hamrin sono supportati dalle fughe  e la corsa di Bertini, dall’estro e le magie di Chiarugi, dalle giocate di Brugnera e dalla coppia di mezze ali che segnerà la storia della Fiorentina come forse in nessun altro caso: entrambe romani, classe assoluta, Picchio col 10, Claudio con l’8.

Maglia di Claudio MERLO, stagione 1971-72 (Museo Fiorentina)

 

Se Picchio è il cervello, è colui che cuce, che pensa, che rimette insieme, che organizza, che tiene insieme gli altri dieci campioni, Claudio è invece la mezzala che parte e conclude, che accelera, che strappa, che ti porta in superiorità numerica, che trova sempre il compagno libero per mandarlo in porta. Dotato di grandi fondamentali, intelligente tatticamente, bravo nel dribbling, si fa conoscere e si afferma per la capacità di alzare la testa dopo aver saltato un paio di uomini e di servire l’assist decisivo. Per Hamrin e Brugnera prima, per Amarildo e soprattutto Maraschi dopo, divenendo un centrocampista moderno, quasi immarcabile, che grazie all’intesa con Picchio occupa grandi spazi di campo e si fa trovare sempre nella posizione giusta per andare a chiudere l’azione offensiva, ma anche a dare mano agli altri compagni nel possesso palla e ne far rifiatare la squadra.

Ha già bruciato le tappe, come del resto gli altri suoi giovani compagni, quando va a vincere lo scudetto nel maggio 1969 a Torino contro la Juve, ormai centrale e fondamentale nel gioco di Pesaola e nella consueta intesa con Picchio; continua a crescere giocando una grande Coppa Campioni (memorabili i match con la Dinamo Kiev eliminata negli ottavi) e fermandosi nei primissimi anni Settanta solo per una fragilità muscolare che lo lascia spesso ai box. Ma negli anni di Liedholm mostra ancora nuove capacità di adattamento a un calcio che sta divenendo pian piano sempre più atletico, costruendo tra l’altro nuove intese con bomber Clerici (al quale fornisce un numero notevole di assist) e soprattutto col nuovo arrivato, il giovane biondo che gioca guardando le stelle e che si chiama Giancarlo Antognoni. E’ proprio anche grazie a Claudio Merlo, ormai nel pieno della maturità, che la giovane mezzala umbra di cui si dice un gran bene, impara molte cose sullo star in campo, sui tempi di gioco, sulla capacità di essere utile per la squadra.

Maglia di Claudio MERLO, stagione 1974-75 (Museo Fiorentina)

 

Poi nell’estate del 1973 arriva un grande “rottamatore”, uno che pensa un calcio nuovo, un organizzatore moderno di un calcio davvero europeo; Gigi Radice cambia molte cose: lancia atleti giovanissimi e affamati di corsa – Roggi, Caso, Guerini, Desolati – convince la squadra che si può vincere sempre, fa crescere Antognoni, ma soprattutto, capisce che Claudio è in quel momento della carriera uno che può avere una svolta ulteriore: lo rende “todo campista puro”, cervello totale della Fiorentina, costruttore dal basso e rifinitore allo stesso tempo, uomo di corsa (che a Claudio non era mai mancata) e di cervello, di fiato e di classe. Se paradossalmente Gigi Radice è il tecnico che chiude con mille incomprensioni la carriera di Picchio De Sisti a Firenze, è anche quello che inventa una nuova fase nella carriera di Claudio facendogli svolgere la sua stagione più bella, in termini di gioco e capacità tattiche. Perché Claudio Merlo era anche un centrocampista modernissimo, adatto al nuovo gioco degli anni Settanta verso il quale altri grandi giocatori fecero fatica ad adattarsi.

Durò però purtroppo poco la stagione di Radice e il ridimensionamento delle Fiorentine successive, sfortunatissime per altro per la carriera spezzata di tanti futuri campioni, lo portarono a scegliere di andare a concludere la carriera all’Inter, in una squadra per altro senza grandi pretese. Ma prima di andarsene, nell’anno precedente, fece in tempo ad alzare di nuovo, nello stadio della sua prima città, Roma, di nuovo quella Coppa Italia con cui aveva iniziato l’avventura viola: all’Olimpico è il capitano che guida un banda di ragazzi matti e terribili a battere il Milan dell’ex Chiarugi e a vincere quello che resterà per vent’anni l’ultimo trofeo vero vinto dalla Fiorentina.

Maglia di Claudio MERLO, stagione 1974-75 (Museo Fiorentina)

 

Da allora  è stato sempre vicino alla Fiorentina, scegliendo di vivere con la sua famiglia a Firenze e trovandosi accanto ai tifosi viola in ogni momento, bello o drammatico.

Uno di noi, uno dei più forti, un campione vero.

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